lunedì 27 dicembre 2021

Review party The furry thing

Titolo: The furry thing
Titolo originale: The furry thing
Autore/disegnatore: Kamwei Fong
Numero di pagine: 147
Editore: BeccoGiallo





Nato nel 2009, "The Furry Thing" è il progetto artistico dell'illustratore, scultore e designer di Kuala Lumpur, Kamwei Fong. Utilizzando solo inchiostro nero a micro pigmenti e delle fitte trame di piccoli, brevi, segni, Fong ha creato centinaia di illustrazioni oniriche e fantasiose di gatti di ogni genere e taglia. Nonostante lo stile uniforme, quasi matematico nella sua progettazione e lavorazione, ogni gatto di "The Furry Thing" mostra una personalità unica: ci sono i gatti arruffati, panciuti e goffi, ci sono gatti sinuosi, eleganti e fieri, altri ancora hanno occhi curiosi, o diffidenti, o ruffiani. Alcuni hanno code enormi che puntano il cielo, altri sono arrotolati su loro stessi a formare un cerchio talmente perfetto da risultare magnetico. Ci sono poi quelli dal muso schiacciato o dal pelo striato, le code elettriche o le orecchie asimmetriche, gli sguardi assonnati o le movenze sinuose. In "The Furry Thing" c'è tutto l'universo dei gatti, tranne le bocche dei protagonisti. Senza bocche, le loro emozioni vengono trasmesse dagli occhi espressivi e luminosi, dalle orecchie vigili e dalle code grandi e cespugliose e, naturalmente, dal pelo più o meno folto (o meglio, folto, molto folto o foltissimo).




Recensione

Questo albo è una gioia per gli occhi, i colori presenti sono dati solo dalla pagina bianca e dal nero/grigio dei gatti rappresentati. La pagina bianca fa spiccare queste figure composte solo da minuscoli segnetti che nell'insieme formano figure feline. Adoro le loro posizioni e atteggiamenti, assumono pose che a volte diventano così umane da fare scappare una risata, la loro espressività è data proprio dalle loro posizioni, atteggiamenti ed espressioni, siccome sono rappresentati senza bocca, sono gli occhi e gli atteggiamenti che trasmettono tutto. È la prima volta che mi capita di recensire un libro che praticamente non ha nessuna scritta se non qualche frase motivazionale, e ho dovuto basarmi solo su quello che il disegno trasmette, ma nonostante questo devo dire che questi gattoni così morbidi e pelosi mi hanno fatto venire voglia di coccolare il mio micione. La tecnica dell'autore richiede molto tempo e impegno perché l'unione delle linee avviene in modo minuzioso e una singola linea posta in maniera sbagliata può cambiare tutto il disegno. L'autore stesso afferma che dedicarsi alle sue opere è un po' come meditare proprio perché richiede concentrazione e molta dedizione. Per questo ho adorato il suo stile, l'unione di queste linee crea un'armonia sulla pagina e questi gatti all'apparenza morbidissimi sono un'allegoria della vita, qualcosa che ci insegna ad essere più come loro, creature particolari e indipendenti che non hanno paura di mostrare al mondo chi sono.
L'albo è diviso in sezioni diverse in base alle tematiche ed è molto interessante vedere l'evoluzione delle "Kitty series" perché i gatti diventano sempre più iconici e con atteggiamento più umani che rimarcano quanto il carattere dei gatti sia particolare e del tutto a sé per ogni singolo gatto/individuo.
In "The wonderfurryland", invece, i gatti assumono forme e posizioni più legate alla natura, trasformandosi in alberi o cime di montagne e qua si vede un richiamo alle origini asiatiche di Fong, proprio perché trasmettono quella sensazione di pace tipica dei disegni orientali.
Insomma un piccolo albo pieno di micioni che sembrano prendere vita dalla pagina, così morbidi e dal pelo folto, si sfoglia velocemente ma si apprezza perché sa strappare una risata e qualche riflessione, spesso poi si riconosce il proprio gatto in alcune pose o da alcune espressioni e non si può non amarlo o farsi venire una voglia tremenda di coccolare il proprio gatto.

Voto ⭐⭐⭐⭐⭐/5

Per questo evento ringrazio moltissimo la casa editrice BeccoGiallo per la copia e Valeria di A place for us ti read per aver organizzato l'evento di Review party, passate dagli altri blog!

lunedì 20 dicembre 2021

Recensione Il maialino di Natale

Titolo: Il maialino di Natale
Titolo originale: The Christmas pig
Autrice: J.K. Rowling
Traduzione: Valentina Daniele
Illustrazioni: Jim Field
Numero di pagine: 314
Casa editrice: Salami Editore





Trama
Jack adora il suo maialino di pezza, Mimalino, detto Lino. È sempre lì per lui, nei giorni belli e in quelli brutti. Una vigilia di Natale, però, succede una cosa terribile: Lino si perde. Ma la vigilia di Natale è il giorno dei miracoli e delle cause perse, è la notte in cui tutto può prendere vita... anche i giocattoli. Jack e il suo nuovo pupazzo, il Maialino di Natale (fastidioso sostituto fresco di negozio), si imbarcano in un piano audace. Insieme intraprenderanno un viaggio mozzafiato nella Terra dei Perduti, dove ‒ con l'aiuto di un portapranzo parlante, di una bussola coraggiosa e di un essere alato di nome Speranza ‒ cercheranno di salvare il miglior amico che Jack abbia mai avuto dal terribile Perdente: un mostro fatto di rottami che divora ogni cosa... Dal genio creativo di J.K. Rowling, una delle più belle storie di Natale mai scritte, piena della tenerezza irresistibile dell'infanzia di fronte al grande mistero della perdita. L'affettuosa, inesauribile fantasia dell'autrice e la compassione verso le persone e gli oggetti amati che assorbono i sentimenti umani sono la celebrazione del calore della famiglia, del prendersi cura e del sentirsi capiti e della autentica sostenibilità delle cose. Con le bellissime illustrazioni del pluripremiato artista Jim Field, Il Maialino di Natale è destinato a diventare un classico amato da adulti e bambini.



Recensione

Il maialino di Natale è il classico libro che si può apprezzare ad ogni età perché nascosti nelle pagine ci sono molti argomenti attuali e che fanno riflettere, ma non mancano la magia e meraviglia adatta ai più piccoli. Nella magica notte tra la Vigilia e Natale, Jack si trova a fare i conti con momenti molto sgradevoli per la sua giovane età. Grazie al suo maialino di pezza Jack sta affrontando cambiamenti importanti e significativi nella sua vita, ma Lino è sempre pronto ad offrirgli conforto con le sue perfette zampette di stoffa adatte ad asciugare le lacrime. Ma anche il piccolo Jack viene portato a un punto di rottura quando il suo povero Lino lo lascia per sempre. Allora parte una ricerca nel magico mondo delle cose perse e dimenticate, un mondo che mi ha ricordato Il mago di Oz e Alice nel paese delle meraviglie, un paesaggio fiabesco ma allo stesso tempo cupo e decadente. Qui la Rowling inserisce quello che è il tema chiave del libro: lo spreco e l'inutile sovrabbondanza di oggetti. In queste lande dove si accumulano tutti gli oggetti smarriti e indesiderati ci sono milioni di oggetti che non ci servono né ci sono mai serviti, ma che riempiono le nostre vite fino a che ci dimentichiamo di loro. Di certo un tema attuale quello del consumismo e che fa riflettere proprio perché il libro è rivolto ai più piccoli, tuttavia gli insegnamenti non finiscono qui. Infatti il libro parla della perdita di quella piccola parte di noi che ci rende bambini e l'accettazione di questa perdita ci porta a crescere, ma anche della separazione e di perdita delle persone (o in questo caso un maialino di peluches) ed elaborazione del lutto. Insomma è un libro che parla di crescita personale, non solo perché il piccolo Jack dovrà affrontare tanti cambiamenti e tante perdite e ogni incontro che farà sul suo cammino lo aiuterà a crescere e prendere consapevolezza, ma anche perché parla della perdita di emozioni negative e positive che possono essere ritrovate o no in alcuni momenti della vita. È un libro dolceamaro e ricco di insegnamenti, apprezzabile a tutte le età e che può insegnare molto, lo consiglio a grandi e piccini non solo come lettura natalizia.

DISCLAIMER: Ho deciso di scindere l'autore e l'opera perché la scrittura della Rowling mi piace molto e credo che riesca sempre a creare storie fantastiche, non mi associo alle sue dichiarazioni personali su altri argomenti.

Voto: ⭐⭐⭐⭐⭐/5

venerdì 17 dicembre 2021

Intervista a Caterina Costa



Bentornat3 sul blog lettor3!
Ecco a voi l'intervista all'autrice Caterina Costa (Cheit.jpg), autrice di Io, i miei mostri e me. Ancora una volta la ringrazio e ringrazio Valeria di @_aplaceforustoread e la casa editrice BeccoGiallo per la copia e per aver accettato e organizzato l'evento. 


Ciao Caterina, prima di iniziare vogliamo ringraziarti per il tempo che ci dedicherai e farti i complimenti perl I tuo lavoro.
La prima domanda che vogliamo farti è la seguente:

- Come mai hai deciso di suddividere ogni storia in una striscia di quattro quadrati? E’ un formato che ti è stato richiesto da altri o da esigenze esterne, o che hai deciso tu in maniera indipendente?

Forse mi sono involontariamente ispirata ad altri webcomic che ho visto negli anni, ma la ricordo
come una scelta molto naturale. Inoltre, postando su Instagram, questa struttura rende molto più facile la condivisione dei miei lavori, perché la somma delle vignette quadrate è sempre un quadrato.

- La forza del tuo lavoro è anche nella sua brevità, ma hai mai pensato di creare una storia molto più lunga, magari una graphic novel completa, partendo da una o più strisce?

È sicuramente qualcosa che mi piacerebbe molto fare! Il primo esperimento con storie più lunghe è stato con il mio primissimo libro, Vita da Pomodoro, un’antologia realizzata insieme ad altre 6 fumettiste. È stato molto difficile per me scrivere qualcosa di più lungo, perché in genere nei miei lavori cerco sempre di trasmettere un’emozione, una sensazione, un concetto, e per questo tipo di comunicazione la vignetta breve è ciò che più mi è congeniale.
Al momento sto cercando di leggere più fumetti e di imparare a narrare storie più lunghe, perché
penso che potrei fare qualcosa di bello!

- Ci racconti la tua esperienza dell’Inktober e di cosa ti ha insegnato come fumettista? In futuro pensi che parteciperai nuovamente all’evento?

Per me l’Inktober del 2018 è stato la svolta, mi ha cambiato la vita. È iniziato tutto come un gioco, un esperimento, ma mi ha portato tante cose fantastiche. Ho deciso di fare un fumetto al giorno anziché un’illustrazione e ho scoperto la mia vocazione! Intanto mi ha fatto capire che sono in grado di produrre tanto in poco tempo, perché le parole a cui ispirarsi uscivano il primo ottobre e ogni giorno c’era una nuova parola da usare, io all’epoca andavo in università tutti i giorni e da pendolare tornavo spesso a casa verso le 20. Però ce l’ho fatta! Ogni sera mi mettevo lì e creavo i miei fumetti. É stato anche l’inizio del mio successo su internet, perché dai miei fumetti per l’Inktober è arrivata la prima ondata di lettori su Instagram. Penso parteciperò ogni anno e spero di riuscirci ancora!

-Abbiamo notato che molti colori (ad esempio il giallo) sono ricorrenti: c’è un criterio particolare dietro questa scelta? E quali tecniche e/o strumenti grafici usi per creare i tuoi disegni?

La scelta di usare il giallo è stata casuale, è sempre stato uno dei miei colori preferiti.
Disegnando e sperimentando mi sono accorta che stava meglio di altri colori come sfondo, faceva risaltare le immagini in primo piano e illuminava la scena. Durante gli anni ho usato diverse tecniche, ho iniziato con la china su carta e le Bic, ho usato Photoshop, Paint Tool Sai, gli acquerelli… Ora uso Procreate su un iPad 2018, che penso sia il software meglio sviluppato per i disegnatori. Il suo unico problema sono i livelli limitati, però in confronto a Photoshop o ad altri programmi conosciuti ha dei pennelli meravigliosi e insuperabili.

-Nelle note del tuo libro racconti che il tuo primo approccio al mondo dei fumetti sono stati i cartoni animati che vedevi da piccola: quali erano i tuoi preferiti? E oggi, invece, quali sono le tue fonti di ispirazioni principali?

Il primissimo che ho iniziato a ridisegnare penso sia stato Futurama, sapevo tutti i personaggi a
memoria e i miei compagni di classe mi chiedevano sempre di disegnarli per loro. Poi A tutto Reality, che è stato il cartone animato che mi ha fatto iniziare a disegnare in digitale. Avevo un gruppo di amici a distanza, nato su Facebook, in cui ognuno si creava il suo personaggio in stile ATR e insieme giocavamo e ci sfidavamo a gare di disegno. È iniziato tutto da lì! Oggi invece non ho più un’ispirazione precisa, ormai il mio tratto e il mio stile sono abbastanza radicati da non aver bisogno di copie così fedeli. Questo non significa che abbia smesso di sperimentare! Spesso mi piace provare a cambiare stile, fare qualcosa di più cartoon o di più realistico, cambiare il tratto e i colori… solo che ora sono tutti esperimenti che partono da me.

-Ti piace la cultura giapponese, nello specifico i manga e gli anime? E, invece, nel panorama italiano c’è qualche fumettista che ti ha ispirato o che ti senti di consigliare?

Da bambina guardavo tanti anime e leggevo qualche manga, ho avuto un periodo attorno agli 11 anni in cui ho provato a ricrearne lo stile ma non faceva per me. Ho iniziato a creare fumetti per puro caso, sono sempre stata interessata sia all’animazione che all’illustrazione e il fumetto è ciò che univa queste due tecniche al meglio. Quindi non ci sono veri spunti a cui mi sia ispirata, non sono mai stata una grande lettrice di fumetti (anche se di fiera in fiera mi è venuta sempre più voglia di iniziare), fatta eccezione per Dylan Dog e W.I.T.C.H..

-Hai dei nuovi progetti in lavorazione? Cosa ti piacerebbe creare prossimamente? Ci puoi dare qualche anticipazione o è ancora tutto segreto?

Per il momento sono abbastanza ferma, fatta eccezione per la mia piattaforma su Webtoon che è stata appena aperta e mi sta portando molte soddisfazioni! Spero di avere presto qualche progetto nuovo! 

mercoledì 15 dicembre 2021

Recensione Il diavolo e l'acqua scura

Titolo: Il diavolo e l'acqua scura
Titolo originale: The Devil and the dark water
Autore: Stuart Turton
Traduzione: Alessandra Maestrini e Anna Ricci
Numero di pagine: 520
Editore: Neri Pozza




Trama

Batavia, Indie orientali olandesi, 1634. La Saardam, col suo carico di pepe, spezie, sete e trecento anime tra passeggeri e membri dell'equipaggio, è pronta a salpare alla volta di Amsterdam. Una traversata non priva di insidie, tra malattie, tempeste e pirati in agguato in oceani ancora largamente inesplorati. Le vele ripiegate, il galeone accoglie nel suo ventre il corteo dei passeggeri aperto da Jan Haan, il governatore generale di Batavia. In sella a uno stallone bianco, seguito da un'accozzaglia di cortigiani e adulatori e da quattro moschettieri che reggono una pesante cassa dal contenuto misterioso, Haan procede impettito. Ad Amsterdam riceverà l'ambito premio per i suoi servigi: sarà uno degli enigmatici Diciassette del consiglio direttivo della Compagnia. Poco dietro avanza il palanchino che ospita Sara Wessel, sua moglie, una nobildonna dai capelli rossi decorati di gemme preziose e un segreto ben custodito nel cuore, e Lia, sua figlia, una ragazzina insolitamente pallida. Seguono dignitari e passeggeri di riguardo, ciambellani, capitani della guardia e viscontesse e, alla fine, a chiudere il corteo, un uomo coi ricci scuri appiccicati alla fronte e un altro con la testa rasata e il naso schiacciato. Sono Samuel Pipps, celebre detective appena trasferito al porto dalle segrete del forte, dov'era recluso con l'accusa di aver commesso un crimine meritevole di processo in patria, e il tenente Arent Hayes, sua fedele guardia del corpo. Le operazioni di imbarco proseguirebbero secondo un consolidato copione se un oscuro evento non funestasse la partenza. In piedi su una pila di casse, un lebbroso vestito di stracci grigi, prima di prendere stranamente fuoco, annuncia che «il signore dell'oscurità» ha decretato che ogni essere vivente a bordo della Saardam sarà colpito da inesorabile rovina e che la nave non arriverà mai alla sua meta. Non è il solo segno funesto. Non appena il galeone prende il largo, sulle vele compare uno strano simbolo: un occhio con una coda. Splendida conferma del talento dell'autore de Le sette morti di Evelyn Hardcastle, Il diavolo e l'acqua scura è stato accolto al suo apparire in Inghilterra e negli Stati Uniti da un entusiastico consenso di pubblico e di critica.

Recensione

Dopo aver letto e amato Le sette morti di Evelyn Hardcastle non potevo non leggere anche questo, peccato però che sia stato un po' una delusione. La storia in sé non sarebbe neanche male ma credo che non sia stata sviluppata al meglio, l'ambientazione è molto ben curata per quello che riguarda la nave in sé e il viaggio, Turton riesce a ricreare l'ambiente cupo e soffocante delle navi d'epoca che impiegavano quasi un anno per attraversare il mondo. Tuttavia a volte è quasi troppo zelante nelle descrizioni, vengono ribaditi più volte odori e luoghi sgradevoli col risultato che così tutto suona ridondante. Non ho mai sofferto di claustrofobia ma leggere alcuni passaggi mi ha messo molta angoscia, motivo per cui, anche al giorno d'oggi, non metterò mai piede su una nave. I personaggi si alternano nella narrazione per cui vediamo questa indagine sotto punti di vista differenti, il problema è che non sono caratterizzati al meglio, soprattutto quelli che sono "di contorno" ma comunque indispensabili alla narrazione. In particolare avrei voluto sapere qualcosa di più su Lia, che mi è sembrata interessante e che aveva bisogno di più spazio. In realtà i protagonisti si riducono a due persone soltanto, Arent e Sara. Lui è il tipico gigante dal cuore buono che vuole seguire la retta via e che è mosso solo dall'onore, lei è la tipica nobildonna scontenta della sua vita, con un marito violento da cui vorrebbe scappare perché ciò che brama di più è la libertà. Sara sarebbe potuta essere il tipico personaggio che mi attira ma in realtà risulta un po' ridondante nelle sue affermazioni sulla condizione della donna, si limita a esporre la situazione difficile vissuta da moltissime ma non aggiunge riflessioni personali. Nel complesso potevano tutti essere approfonditi meglio, perché i nomi da tenere a mente sono molti e mi è capitato di fare un po' di confusione. La coppia Arent-Samuel Pipps all'inizio mi ha incuriosito molto perché mi ricordava Sherlock e Watson ma si riduce a un nulla di fatto, siccome Sammy è imprigionato non si vede per 3/4 del libro, ciò che sappiamo di lui lo dobbiamo ad Arent che lo tratta come un dio e che sarebbe disposto a morire per lui. Quello che secondo me proprio non funziona è la trama in sé, Turton è il primo che non riesce a catalogare il suo libro in una specifica sezione (ne parla nelle note finali), si tratta di una specie di giallo, con tratti psicologici, ma che è anche un po' romanzo storico e allo stesso tempo un libro di narrativa. Insomma è un mix che poteva attirarmi ma che mi ha lasciato un po' con l'amaro in bocca. Infatti l'indagine procede un po' a caso e la rivelazione su chi potrebbe essere il colpevole è davvero troppo improvvisa. La raccolta degli indizi è quasi inesistente, ma quello che mi ha turbata più di tutto è il fatto che la vicenda gira intorno a una storia di possessione demoniaca da parte di questa entità detta Vecchio Tom (un nome che incute un terrore abissale eh...) E tutti accettano questa versione per buona, non si cerca mai un colpevole o una strada logica, no. C'è questo demone e quindi si cerca la persona posseduta...una caccia alle streghe in piena regola per scovare la persona posseduta e il demone stesso, mi è sembrato tutto troppo forzato perché poi quando alla fine si capisce il colpevole, non ha nulla di sovrannaturale. 
Mi sembra di non aver capito la vicenda che voleva essere un po' tutto e alla fine si risolve in modo troppo rocambolesco e forzato. Il punto a favore è di sicuro lo stile complessivo, la penna di Turton è sempre scorrevole e quindi non risulta pesante da quel punto di vista, peccato che tutto il resto non funzioni. 
Insomma è stato una delusione dopo Le sette morti che per me è un piccolo capolavoro, non ho ritrovato li stesso autore e la trama mi è sembrata troppo forzata.

Voto: ⭐⭐/5